[ ≡ ]
Dei lavori di Danilo Premoli hanno scritto: Alberto Albertini, Nanni Balestrini, Roberto Borghi, Ginevra Bria, Decio G.R. Carugati, Jacqueline Ceresoli, Aldo Colonetti, Sergio Dangelo, Enrico L. Fagone, Vittorio Fagone, Gio Ferri, Matteo Galbiati, Lorella Giudici, Flaminio Gualdoni, Linda Kaiser, Marco Maiocchi, Enrico Mascelloni, Francesco Morace, Roberto Mutti, Guido Oldani, Giancarlo Pavanello, Giorgio Soavi, Aldo Spinelli, Maurizio Vitta.
 
Leggi di seguito gli scritti critici di: Nanni Balestrini, Decio G.R. Carugati, Jacqueline Ceresoli, Aldo Colonetti, Lorella Giudici, Flaminio Gualdoni, Marco Maiocchi, Francesco Morace, Roberto Mutti.
 


 
 
Nanni Balestrini
[presentazione mostra personale d’arte “Messaggi”, 1996, Fondazione Mudima, Milano]
 
Un Messaggio è un Messaggio, ma diventa un’altra cosa quando viene assimilato e rielaborato da Danilo Premoli. Subisce allora una serie di trasformazioni che producono una sua Moltiplicazione, ma al tempo stesso una sua Accelerazione e una sua Disseminazione.
I frammenti disgregati del Messaggio iniziale cominciano a ruotare vertiginosamente su se stessi, spezzano la linearità temporale dell’enunciato, invadono una superficie bidimensionale e si dispiegano in uno spazio ritmico che attira, avvolge e stravolge l’Osservatore.
 
L’occhio dell’Osservatore che si confronta col Messaggio di Premoli ignora che cosa si nasconde dietro i segni verbali che lo compongono. Particelle di senso si proiettano e dilagano in ogni direzione, proliferano indefinitamente fino a occupare tutto lo spazio fisico e mentale. Invadono la mente dell’Osservatore esposta alla contemplazione del Messaggio, che è divenuto un Ipermessaggio.
 
In una durata di tempo variabile secondo l’impostazione dei dati iniziali, l’Ipermessaggio raggiunge l’entropia. Ciò che nel corso del suo movimento verso l’entropia sedimenta nella mente dell’Osservatore è una traccia di significato che non potrà più essere cancellata. Potrà rimanere sommersa nel suo inconscio, ibernata per un tempo lunghissimo, ma un giorno si manifesterà in tutta la sua folgorante evidenza. Con quali conseguenze? Noi ancora non le conosciamo. Possiamo solo aspettare che si manifestino.
Quando? Forse neppure Danilo Premoli lo sa. [ top ]


 
 
Jacqueline Ceresoli
[presentazione mostra collettiva d’arte “ES-OD0”, 1999, Istituto Cesare Beccaria, Milano]
 
L’opera è un gioco di enigmistica computerizzata che scombina il testo letterario in un paradossale esercizio di stile per rintracciare sovrastrutturati sensi ermeneutici. Queste parole-personaggi e lettere in libertà perdono il loro senso, trasformandosi in sigilli virtuali che suggellano patti segreti con il significato: formano l’antologia di un possibile es-od0 grafico. [ top ]
 


 
 
Decio G.R. Carugati
[Avvenire, Agorà 22 ottobre 1999, testo raccolto in “Le derive del comportamento”, Luca Sossella Editore, 2017]
 
E il mouse ironico ci richiama alla vita vera
Nel delirio globale e globalizzante di onnipotenza virtuale ha fatto capolino l’ironia, forse la prima volta, certamente la prima nelle trentasei edizioni dello Smau. Un giovane architetto, Danilo Premoli, designer, assistente alla cattedra di informatica applicata al corso di laurea in disegno industriale della facoltà di architettura al Politecnico di Milano, ha vinto l’Icograda Excellence Award che si affianca all’ormai storico premio Smau Industrial Design. Il suo mousepad “life outside”, la vita è altrove, secondo la precisa illuminata motivazione della Giuria “… non è un oggetto e non è un software, è un’opera prettamente concettuale che utilizza in modo ironico il logotipo Intel per avvertirci che la vita sta altrove e non necessariamente ridotta al solo uso del computer. La giuria del premio Icograda ha ritenuto opportuno selezionare questo prodotto quale richiamo rivolto soprattutto ai giovani perché non dimentichino le qualità fondamentali della vita, humor compreso, suggerito abilmente in questo mousepad”. Il tappetino per il mouse è comunque il primo supporto all’intrapresa del grande esodo corale dalla realtà. La vita è altrove, rammenta Premoli, al di fuori dei luoghi che ne rifiutano il rischio. [ top ]


 
 
Aldo Colonetti
[presentazione mostra personale d’arte “ABC Wit”, 1994, Fondazione Mudima, Milano]
 
Casualità dell’automatismo
Come sempre, e in questa mostra abbiamo un esempio coerente e di grande interesse, la riflessione teorica è in grado di anticipare i comportamenti pratici, gli stessi linguaggi dell’arte, quando, e solo in determinate occasioni, l’analisi del pensiero e le sue previsioni operano all’interno di una conoscenza precisa e contestualizzata dei fenomeni culturali. La cronaca è questa: nel 1962, esattamente trentadue anni fa, in un famoso saggio, allora probabilmente poco letto e soprattutto ora da troppe persone dimenticato, “Simbolo comunicazione consumo”, Gillo Dorfles, introducendo per la prima volta in Italia la teoria dell’informazione e, in particolar modo, i contributi teorici di André Moles e Max Bense, si soffermava sui concetti di ridondanza semantica, ridondanza estetica e di randomità estetica, ovvero una particolare produzione artistica nella quale intervengono elementi casuali (il significato del termine random).
 
Riflettendo intorno a un fenomeno che allora appariva come un episodio marginale della ricerca (il Gruppo T e il Gruppo N furono le uniche esperienze artistiche italiane attente a questi risvolti teorici), Dorfles scriveva: “II concetto di random-kunst, di arte sorta per caso, fatta a casaccio, o diciamo meglio di automatismo artistico, è certo uno dei più interessanti aspetti dell’arte odierna, e merita d’essere inquadrato entro i canoni, quanto mai appassionati, d’una nuova estetica dell’informazione”.
La ricerca linguistica di Danilo Premoli e soprattutto i suoi risultati estetici intervengono all’interno di questa tradizione artistica che non ha mai dimenticato il rilievo e l’importanza della riflessione teorica e della ricerca, rispetto all’opera e alla sedimentazione materiale e fisica dell’evento.
 
Anche la casualità fa parte dell’intenzione progettuale; non tanto sul piano delle condizioni e dei vincoli che stanno a fondamento di qualsiasi esperienza, quanto perché qualsiasi effetto è sempre da ricondurre, anche solo parzialmente, a una causa specifica. Gli accidenti, e anche gli incidenti di un percorso di ricerca consapevole, e quindi controllabile, rappresentano quel particolare fenomeno espressivo che, sempre Dorfles definiva, nel saggio citato, con il termine “asintattismo”, ovvero l’infrazione della regola.
 
Danilo Premoli è un giovane architetto e designer colto e molto attento alle nuove tecnologie, senza essere, però, condizionato dalle stesse, come invece accade spesso ai giovani progettisti che si innamorano ciecamente della macchina, senza ricordare (e quindi senza mettere al centro della propria ricerca) il significato e la funzione del pensiero, della teoria estetica e filosofica: non esiste pericolo e limite peggiore che pensare di essere i primi, gli unici in grado di progettare il nuovo. Il nuovo è sempre il risultato di una serie di relazioni con il vecchio e, soprattutto, con quelle discipline che solo apparentemente appartengono ad altre aree conoscitive e culturali.
 
Nei lavori di Premoli sono presenti due elementi fondamentali: le regole e la conoscenza dei linguaggi informatici, da un lato, e, dall’altro lato, la cultura e la complessità di un testo letterario, il tutto all’interno di una tensione progettuale che desidera uscire dall’autocompiacimento e dalla sterilità di un pensiero che non vuole mescolarsi con la casualità delle nostre esperienze che via via danno un senso alle nostre azioni, al nostro esistere pratico.
 
Premoli affida il suo messaggio alla casualità degli interventi di chi si avvicinerà al computer: il visivo, il verbale e il sonoro, insieme, produrranno una risposta, ma non sarà l’unica possibile risposta perché la categoria del “tempo” è irreversibile, per cui infinite sono le combinazioni come le diverse, infinite opere d’arte, che ciascuno potrà portarsi a casa. Cosi scriveva Giovanni Anceschi, a proposito della sua esperienza d’artista nel Gruppo T: “un punto di vista cosciente della temporalità come elemento integrante e costitutivo della nostra vita”, questa è la condizione per dare un senso a un lavoro che, fenomenologicamente, è instabile, fluido e mutevole.
 
Danilo Premoli presenta un possibile itinerario; io credo che possa essere utile per tutti, soprattutto per i giovani progettisti innamorati del computer, incontrare questa esperienza nella quale, invece, è presente una nostalgia nei riguardi della poesia, intesa come conoscenza delle regole, ma anche apertura verso il nuovo.
 
“Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero di regole che conosce è più libero del poeta che scrive quel che gli passa per la testa ed è schiavo di altre regole che ignora” (Georges Perec): la libertà creativa deve essere individuata nelle regole dei diversi linguaggi espressivi, senza dimenticare la positività dell’infrazione cosciente, quando quest’ultima si presenta all’interprete e al lettore, indicando con grande chiarezza le regole del gioco. [ top ]
 


 
 
Lorella Giudici
[presentazione mostra personale d’arte “Un anno vissuto pericolosamente”, 2006, Galleria 10.2!, Milano]
 
“È come se i miei quadri avessero bisogno di un po’ di sole, di sporco e di pioggia”, confessava Edvard Munch, dopo aver sottoposto per mesi le sue tele agli umori del tempo, ai capricci delle intemperie e a un’estenuante lotta con la natura. Munch la chiamava “cura da cavallo”, una sorta di terapia d’urto per mettere alla prova la resistenza del colore, la forza (materica e allusiva) del dipinto e infondervi, attraverso un processo del tutto naturale -seppure spartano e aggressivo-, maggiore storia e passione, alimentandone da un lato la vitalità e il carattere e dall’altro il legame con le stagioni e il divenire.
 
Danilo Premoli, con i 365 foglietti del suo calendario, ha fatto qualcosa di simile, ma con una scientificità (più empirica che speculativa, arrivando anche a completare il quadro degli elementi-agenti: aria, fuoco, terra e acqua) e una concettualizzazione che il lavoro di Munch, eseguito un secolo prima, non conosceva. E, per gli amanti della cronaca, diamo subito un dato (forse, a ben vedere, più cabalistico che matematico): tutte le veline, su cui sono stampati i giorni, i santi e le festività, appartengono a un almanacco acquistato ben 28 anni fa, vale a dire prima ancora che la sua vita imboccasse la via dell’arte.
 
Se ne deducono tre diverse riflessioni. Una più scientifica: la cadenza dei giorni si ripete identica -e beffarda- a cicli precisi, con l’esattezza di un cronometro, l’ossessione di un ritmo immutabile, con uno scarto nei contenuti e non certo nell’alternanza. E due più casuali e volubili: da un lato il piacere più o meno sensuale di sfogliare, una dopo l’altra, le pagine dell’esistenza per scoprirne le belle o le difficile incognite quotidiane, in una parola il fato; dall’altro lo stupore di verificare le disparate sembianze assunte dalla carta esposta alle traumatiche corrosioni degli elementi (secondo tempi e modi diversi, descritti dall’artista stesso), in uno spettro di forme e di deterioramenti degno di un vocabolario alchemico o di un consumato sperimentatore.
 
In Premoli, però, a differenza di Munch, non c’è affanno e tormento, né c’è traccia della disperazione e della sofferenza che permeavano l’intera ricerca del norvegese. Quella di Premoli non è (come per Munch) una lotta con la vita, semmai potrebbe essere una sfida con il tempo, ma in una partita giocata alla pari, sullo stesso terreno e con la medesima arma: l’ironia.
 
Resta da precisare un’ultima cosa: il tempo a cui Danilo Premoli allude non è solo quello astratto e fittizio, freddamente stampato sul lunario e identico in tutte le lingue del mondo, ma quello legato al ritmo della natura e intrinsecamente intrecciato alla vita e agli elementi, lo stesso che logora e degrada, accartoccia e stinge i fogli, il medesimo che ricolora o erode i ricordi. È vero che nell’esperienza ricreata da Premoli le prime variabili sono gli agenti (aria, acqua, terra e fuoco), ma il fattore tempo risulta determinante per l’esito del processo. Il nocciolo del problema allora è: il destino è nelle mani di chi controlla il tempo? La risposta è nella geografia tormentata di quei fogli, nelle sbiadite pagine di quei giorni, nelle irreversibili ustioni e nelle magiche metamorfosi di quell’anno vissuto così pericolosamente. [ top ]


 
 
Flaminio Gualdoni
[presentazione mostra personale d’arte “Stravolti”, Galvanotecnica Bugatti, Milano, per “Photofestival 2007”]
 
Sappiamo perfettamente chi sono. E non ce ne importa nulla: né di loro, né a ben vedere del loro stesso personaggio. Ma sono lì che occhieggiano, icone vischiose stralunate. Quasi una pelle. Ma è una pelle sulla quale accade qualcosa, un accidente, una increspatura della perfezione algidamente inutile di quel make-up: ed è un altro stereotipo, il nome, un nome ripetuto per ecolalia le mille volte sino a farsi, anch’esso, marchio e motto senza più espressione e significato e voglia di dire: ed è parola che a furia di ripetersi si inciampa, scivola, si confonde, si schiude, per accidente minimo, a una deriva di senso, così come l’avvenimento anch’esso minimo della sua presenza intessuta a quella pelle fa esistere, consapevole, la bidimensionalità dei tratti corporei. Famiglia38Fotografi ci restituisce un ritratto di un ritratto di una identità cancellata dal proprio stesso eccesso.
 
Danilo Premoli, arguto coboldo, su questo eccesso ne innesca un altro, o forse uno scarto laterale, o forse soltanto il gioco di spettinare un nome per dissolverne – ma senza rumore, beninteso, senza dar colpi: basta un soffio – l’icona perfetta e perfettamente disanimata, per sbigottire la seduzione fredda (così direbbe Baudrillard) di quel simulacro senza contemplatori (così direbbe Klossowski) e riportarci al piano di ciò che è davvero. Pixel di pixel, 01 a iosa per ricombinare all’infinito nomi in attesa, ma forse no, di un senso. Nulla da guardare, infine. Qualche pensiero da fare (così piacerebbe a Savinio). [ top ]
 


 
 
Marco Maiocchi
[presentazione mostra personale d’arte “Borges Babele”, 1997, Baleri Italia, Milano]
 
L’uomo si siede davanti alla scrivania, accende il suo computer e, con un leggero tocco di mouse, entra nella Libreria della più grande Università americana. Qui la sua ricerca non passa più attraverso parole chiave, titoli, autori, ma l’evoluzione delle interfacce tra l’uomo e la macchina, la continua ricerca di metafore dell’esperienza acquisita lo portano a spostare la sua immagine dentro lo schermo, sempre manovrandola col mouse, tra i vari scaffali, tra gli schedari, sulle scalette che permettono di accedere ai ripiani alti; lui è un regolare, con tecnologie semplici ma aggiornate, iscritto alla biblioteca, e quindi la sua immagine compare in tutta la sua completezza e somiglianza; qua e là s’imbatte in standardizzati smile (i visitatori occasionali) o in ectoplasmi indistinguibili (quelli che hanno ancora vecchi computer con interfacce a caratteri invece che grafiche). L’uomo cerca tra milioni di volumi, tocca i libri, li preleva, li sfoglia, fa copia di alcune pagine. Non è immaginario, non è futuro, è reale ed è adesso. È uno dei tanti aspetti di Internet, la nostra vera biblioteca universale, che tutto contiene, ma di cui non sempre conosciamo veridicità, attendibilità e affidabilità o, peggio, collocazione e reperibilità.
 
Divoratori di notizie, di informazioni, di testi, consumiamo funerali, accuse, fatti e smentite con la stessa attenzione: non più la realtà, ma la verosimiglianza, la potenzialità, scambiata acriticamente per attualità, e ci perdiamo in gallerie e in stanze esagonali di non-informazioni, senza neppure accorgercene!
 
Meno male che c’è la Biblioteca di Babele! La divina Biblioteca che contiene tutto, vero o falso, con senso o senza che, proprio per la sua incapacità di dare senso alle cose, ci istruisce sulla necessità della nostra capacità di dare senso alle cose, e di capire cosa ha e cosa non ha senso: simultanea generalizzazione e distruzione del critico di ruolo e di mestiere. La restituzione dell’uomo a se stesso, alla sua responsabilità, alla sua autodeterminazione, da una mente bicamerale a una responsabile autocoscienza.
 
E la Biblioteca esiste davvero, non nelle immaginifiche strutture di Escher, non nelle costruzioni delle finzioni di Borges o di Eco: quella costruita da Danilo Premoli è contenuta in un piccolo, semplice, banale programma che pur così minuto nella sua dimensione statica è così potente e infinito nella sua capacità dinamica di fornirci ogni testo della Biblioteca.
 
Meno male che la Biblioteca di Danilo Premoli ci istruisce sul senso dell’uomo: forse la lettura di una pagina qualunque di un libro qualunque estratto dalla Biblioteca dovrebbe essere di stimolo, un momento di autoriflessione per percepire cosa ci sgorga dall’interno, cosa la chiave esterna ci evoca dal profondo. L’evocazione di una pagina ci porta sullo schermo una serie di caratteri di un foglio della Biblioteca: la probabilità che in tale pagina ci sia l’inizio della Bibbia è assolutamente la stessa di quella di trovarci una sequenza definita in cui le lettere si presentano in modo illeggibile e addirittura impronunciabile; la lettura di una pagina è sempre un fatto divinatorio, evocativo, che fa parte di noi e della sincronicità del nostro universo. Non sottovalutiamola, e avviciniamola con la dovuta umiltà, noi così piccoli e limitati, di fronte all’infinito del fruibile, del potenziale, dell’esistibile! Non rifiutiamola, come non rifiutiamo il prossimo, l’individuo frutto di un’imprevedibile mescolanza degli elementi alfabetici di un Dna un po’ più imperscrutabile e lontano.
 
La Biblioteca di Danilo Premoli compie un altro miracolo: un piccolo computer (quello che sto usando per scrivere questo testo misura, in centimetri, meno di 30x24x4), con una piccola memoria (questo ha 16 milioni di caratteri di memoria centrale e 860 di disco) contiene un piccolo programma che usa meno di un millesimo della memoria e meno di un centimillesimo del disco, e che contiene, in potenza, tutta la letteratura dell’universo, scritta, immaginata, immaginabile, scrivibile, che mai sarà scritta! La grandiosità del potenziale! L’infinito del pensiero concentrato in una piccolissima porzione di silicio che non so localizzare, ma che potrebbe essere ridotta a pochi millesimi di millimetro cubo, o forse ancora meno!
 
Una cosa, ancora, importante, nell’opera di Danilo Premoli: non solo la coerenza concettuale, ma anche quella formale: in ogni schermata si trova la collocazione della pagina visualizzata: circuito, galleria, scaffale, libro, pagina e parte; non abbiate dubbi: due schermate con identiche coordinate hanno proprio lo stesso contenuto, perché questa non è un’imitazione, ma è davvero la Biblioteca. [ top ]
 


 
 
Francesco Morace
[presentazione mostra personale di design “Oh, Ada!”, 2000, Galleria 10.2! Milano]
 
Oggetti per una quotidianità creativa
Il paesaggio di oggetti che quotidianamente circonda le persone diventerà, in un futuro ormai presente, proiezione e supporto di identità personali orientate sempre più chiaramente alla qualità della cultura materiale e alla familiarità creativa con l’ambiente. È per questo che le famiglie di oggetti straordinari nella loro banalità, diventano un punto di riferimento per i soggetti CreActives, cioè per coloro i quali traggono dall’esistenza quotidiana la linfa vitale per rilanciare i propri progetti di vita, i propri sogni e le proprie visioni creative. È sul terreno quotidiano che si sviluppano le energie di trasformazione del reale, attraverso esperienze minime ma rilevanti, nella relazione con gli oggetti, i luoghi e le persone che popolano il presepe della consuetudine avanzata e della domesticità diffusa, nel sentirsi a casa ovunque del neo-nomade.
 
Gli oggetti proposti da Danilo Premoli in questa mostra e nella sua attività di creativo multiforme, rappresentano un esempio di cosmogonia minima, che si esprime attraverso le punture di spillo del quotidiano, con oggetti-esperienze che punteggiano la cultura materiale di ognuno, con suggestioni che attraversano il mondo alimentare, del lusso, del gioco, del giardinaggio o delle nuove tecnologie. Occasioni di vita pensate e re-interpretate con il tocco delicato del suggeritore, che non propone modelli, non stravolge le forme del gesto, non inventa nuove categorie di oggetti, ma si limita a riproporle integrandole con un’idea, con un pensiero, attraverso una particolare sensibilità.
 
È così che il mouse-pad con il suo messaggio “life outside” diventa un incoraggiamento alla vita reale che, con la sua fisicità, supporti l’identità in rete; o che i contenitori della collezione “Orsa”, con la loro versatilità e componibilità, propongono una costellazione di assaggi, suggerendo l’esplorazione di gastronomie esotiche o pluricentriche, comunque contaminate. Ma forse la proposta più affascinante che Danilo Premoli ha concepito, è proprio il disegno di un mazzo di 54 carte, in grado di supportare creativamente l’infinito intrattenimento che qualsiasi gioco di carte rilancia nel più vasto Gioco del Mondo. [ top ]
 


 
 
Roberto Mutti
[presentazione mostra personale d’arte “Stravolti”, Galvanotecnica Bugatti, Milano, per “Photofestival 2007”]
 
Il ritratto è da sempre uno dei temi topici dell’arte e della fotografia, a tal punto che è entrato nel nostro immaginario collettivo in modo ormai definitivo. Se un tempo ci si poteva accontentare di immaginare fantasiosamente le fattezze delle persone famose, oggi i loro volti ci vengono riproposti in modo così continuo (e talvolta ossessivo) che li riconosciamo con la più grande facilità, come un tempo avveniva soltanto per i parenti e gli amici. Questa nuova ridondanza iconica alla lunga ha finito, tuttavia, per trasformarsi in un messaggio dal senso completamente diverso: quello dell’indifferenza.
 
Danilo Premoli, che ha ideato il progetto, ha scelto Famiglia38Fotografi, che ha contribuito alla sua realizzazione, per lavorare insieme proprio su questo punto: recuperare un senso nuovo e più forte a ritratti che l’abitudine ha reso come opachi e privi di profondità. Il progetto, realizzato dunque a più mani, attraverso una serie successiva di passaggi, inizia con il recupero dei ritratti di personaggi celebri che emergono dallo sterminato universo iconico per acquisire una nuova soggettività personale.
 
Scelti insieme i personaggi, è sull’originalità dei volti elaborati da Famiglia38Fotografi che Danilo Premoli interviene intrecciando frammenti del nome e del cognome delle persone stesse su alcune parti del viso e sempre sugli occhi; i frammenti sono mischiati casualmente da un software appositamente scritto dall’autore per questa operazione. Il risultato è intrigante per molti versi, perché recupera una nuova e inedita forza espressiva ai ritratti, perché crea un dialogo ideale fra parole e immagini dove la dimensione del rapporto significante-significato e quella più propriamente estetica si fondono in un solo messaggio.
 
All’osservatore si pone così il compito di scrutare le immagini, di individuare frammenti di discorsi, di stabilire le intime connessioni che legano le une agli altri. E di individuare il gioco di allusioni che Danilo Premoli e Famiglia38Fotografi propongono come elementi di un percorso dal fascino sottile. [ top ]
 

Pubblicità